Domande frequenti

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Giovanni BadinoQui puoi trovare le risposte alle domande che le persone, vedendoci entrare o uscire da una grotta ci sottopongono.
Giovanni Badino le ha scritte in modo semplice e chiaro proprio perchè siano alla portata di tutti.

 

A cosa serve la speleologia

"Servire"? Se si intende "avere qualche immediata utilità pratica monetizzabile" possiamo senz'altro dire, con una certa fierezza, che la speleologia in genere non "serve" proprio a nulla, proprio come capita all'astronomia e alla fisica delle particelle. La speleologia è una minuscola parte di un vasto insieme di ricerche che vengono condotte avanti soprattutto per se stesse, per curiosità, come del resto si fa con la maggior parte della scienza. La trasformazione dei risultati della ricerca di base in "cose utili" è imprevedibile e, addirittura, in genere viene fatta da persone diverse dai ricercatori che hanno "condotto l'esplorazione". I risvolti pratici delle ricerche speleologiche (ce ne sono più di quanto capita in altri campi, ad esempio, nell'astronomia) vengono incontrati quasi per caso, inattesi. Per esempio: la speleologia aiuta a chiarire la circolazione delle acque nel sottosuolo, a capire la struttura interna delle montagne, permette di incontrare animali interessanti e mineralizzazioni nuove. Ma non è per queste cose che andiamo nelle grotte: ci spinge il fatto che riusciamo ad esplorare e descrivere un pianeta nel pianeta. Se questo finirà anche per risultare "utile" tanto meglio, se no pazienza, sarà stato molto interessante lo stesso.

Quando è nata la speleologia?

L'esplorazione delle caverne è sicuramente una delle più antiche attività umane, dato che nella preistoria la protezione che offrivano le caverne era molto ricercata, e non solo nelle entrate: quelle genti antiche a volte vi si spingevano ben dentro. La prima segnalazione storica dell'attività' di "speleologi" è del 853 a.C., quando il re Assiro Shalmaneser III visitò delle caverne alle sorgenti anatoliche del fiume Tigri. Dovettero piacergli molto perchè ne fece realizzare un bassorilievo commemorativo in bronzo (ora al British Museum) col quale decorò le porte del suo palazzo. A questo remoto avvenimento seguono millenni di visite e di fantasticherie sul tema "grotta", ma è solo con l'avvento dei primi naturalisti moderni, nel '600, che iniziano ad apparire delle descrizioni accurate. Perchè si inizi una esplorazione sistematica però, occorre attendere la metà dell'800, quando appaiono esploratori che pongono le basi di quella che ora chiamiamo speleologia, cioè la ricerca e descrizione sistematica del mondo sotterraneo. I primi lavori sono proprio sul Carso (Italiani, Austriaci e Sloveni), in Francia e negli Stati Uniti nella seconda metà dell'Ottocento. Da allora l'interesse è andato crescendo, salvo le interruzioni belliche, anche se la filosofia e le tecniche di ricerca e di esplorazione sono cambiate moltissimo. I mutamenti più drammatici sono però degli ultimi decenni. Lo sviluppo delle tecniche di progressione, l'approccio più scientifico alle esplorazioni e le maggiori possibilità individuali di viaggiare hanno fatto si che il territorio carsico esplorato all'interno del pianeta sia andato raddoppiando ogni meno di dieci anni: è un processo che continua ancora e che richiede uno sforzo documentativo sempre più raffinato a chi vuole stare al passo di questo sviluppo.

La speleologia è un alpinismo all'in giù?

No. Con l'alpinismo ha in comune alcune tecniche di arrampicata (ma gli alpinisti sono molto più bravi), in comune il fatto che nemico principale di alpinisti e speleologi è il freddo (ma in grotta è un penetrante freddo umido, in montagna un gelo profondo), il fatto che le due attività si fanno in montagna (ma gli alpinisti vanno più in alto). Speleologi ed alpinisti inoltre hanno in comune alcuni materiali e questo fatto, marginale, è quello che più induce gli ignari a pensare alla speleologia come ad una variante dell'alpinismo. È sbagliato, anche solo perchè li utilizzano in modo diverso: gli alpinisti si spostano sulla roccia e usano le corde per rimediare alle cadute, gli speleologi in genere rifuggono dalla roccia e si spostano proprio sulle corde (ma, ahimè, la roccia non rimedia alle cadute anche se le arresta...). Ma queste differenze sono piccole: quella essenziale è che l'alpinista conosce il luogo geografico dove andrà, l'esploratore ipogeo no. L'uno vuole cimentarsi nel superamento di un problema arduo, l'altro soprattutto vedere le vie dell'acqua dentro una montagna. L'ambiente mentale in cui si muove l'alpinista è la difficoltà, quello dello speleologo l'ignoto. Lo speleologo è un geografo. Si immagini un continente sempre pieno di nebbie e che sia possibile conoscerne solo le coste, vederne le foci dei fiumi. Se l'alpinismo fosse l'inoltrarsi nelle nebbie dell'interno, risalire i fiumi oscuri sino alle sorgenti, risalire pareti alla cieca, disegnando e rilevando i percorsi e le vie alternative, se fosse misurare vette nel buio scoprendo pareti, valli, connessioni fra le montagne, allora effettivamente la speleologia sarebbe alpinismo all'ingiù'.

Quali sono le attuali ricerche della speleologia?

L'attività più comune è la ricerca di nuove cavità inesplorate o di prosecuzioni in quelle già note: da quel che ho scritto prima avrai capito che è un lavoro senza fine, ma pian piano lo portiamo avanti. È molto divertente e può essere fatto anche da minuscoli gruppi di appassionati. Ci sono poi le attività di ausilio a ricercatori che, per qualche motivo scientifico, hanno bisogno di dati rintracciabili nel sottosuolo: gli speleologi sono degli specialisti nello spostarsi la sotto e in genere sono disponibili a rendersi utili a geologi, idrogeologi, chimici, fisici o biologi. Ci sono poi altre attività più complesse e che richiedono organizzazioni maggiori: un'attività' molto importante è quella della divulgazione, che si fa con corsi di speleologia, gite, proiezioni e scritti. Un'altra attività complessa e fondamentale è senza dubbio quella della protezione del mondo sotterraneo. Le grotte sono infatti dei luoghi molto facili da danneggiare: per rimediare ai danni che possono infliggervi le attività umane occorrono tempi geologici. Occorre quindi essere in grado di promuovere leggi e regolamentazioni per la protezione di quei fragili ambienti ma soprattutto fare opera di sensibilizzazione su chi, spesso senza esserne cosciente, svolge attività che danneggiano la grotta o le acque che la percorrono.

Gli speleologi si occupano solo di cavità naturali?

No. Da non molti anni, ma con un interesse che va crescendo, gli speleologi si occupano anche dell'esplorazione delle antiche cavità artificiali. Fra di esse includiamo tutti gli ipogei scavati dall'uomo: santuari rupestri, condotte idriche, cave, miniere, rifugi... Più che di esplorazioni vere e proprie si tratta di ripercorrere questi antichi scavi con tecniche tipiche della speleologia, documentandone la struttura e la funzionalità. Gli ipogei artificiali, spesso, sono l'unico residuo di antiche costruzioni spazzate via dalle vicissitudini umane e quindi questo tipo di attività (in genere denominato, un po' impropriamente, "speleologia urbana") è in grado di dare notevoli apporti alle ricerche storiche ed archeologiche.

Quanti sono gli speleologi in Italia?

Quelli organizzati in società nazionali sono circa duemila, quelli occasionali quattro o cinque volte di più. In genere ogni speleologo fa parte di un gruppo speleologico che coordina l'attività' esplorativa e promozionale a livello locale: in Italia ce ne sono circa trecentocinquanta.

Quali sono le organizzazioni che se ne occupano?

Siamo organizzati su un doppio livello, locale e nazionale. In gran parte delle città vi sono gruppi speleologici che hanno in dotazione attrezzature collettive per le esplorazioni di grotte complesse e che garantiscono a chi inizia un corretto e sicuro avvicinamento all'attività' speleologica; alcuni di essi pubblicano la loro attività su bollettini periodici. A livello nazionale esistono tre organizzazioni di riferimento che sono il Club Alpino Italiano, il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico e la Società Speleologica Italiana. Il CAI è un'organizzazione fatta essenzialmente per alpinisti, ma al cui interno si sono formati alcuni dei più vecchi gruppi speleologici: ha base soprattutto nell'Italia Settentrionale. La seconda, il CNSAS, garantisce i soccorsi in caso di incidente. La terza, la SSI, è l'unica organizzazione specificamente speleologica. Esiste anche un'organizzazione a livello internazionale, l'Union International de Speleologie, che coordina i contatti fra le varie organizzazioni nazionali.

Cosa fa la Società Speleologica Italiana?

Cura iniziative di carattere speleologico, da sola o in concerto con le altre organizzazioni, coordina corsi regionali e nazionali di speleologia, gestisce nella sede di Bologna una delle maggiori biblioteche mondiali sul tema "speleologia" (ad essa puoi rivolgerti per ogni tipo di ricerca sull'argomento), pubblica una rivista semestrale di informazione ("Speleologia") e vari libri, sia rivolti agli speleologi che al grande pubblico. Ci preme molto, infatti, che tu sia correttamente informato su ciò che facciamo nell'interno delle montagne: sono posti molto interessanti, e noi speleologi cerchiamo di esserne all'altezza.

Cosa fate voi speleologi tutto il tempo che state in grotta?

Soprattutto: ci spostiamo. Le grotte sono spesso molto vaste e purtroppo gli accessi percorribili sono sempre pochi. Questo fa si che per raggiungere certe zone dell'interno della montagna occorra percorrere vie molto lunghe, tortuose e faticose: a volte dobbiamo spendere dieci, venti ore di viaggio per raggiungere una certa regione nella quale potremo rimanere in esplorazione solo per poche ore. Il cammino in grotta è una sorta di percorso di guerra, una serie interminabile di difficoltà di poco conto, ognuna delle quali però permette l'avanzata di soli pochi centimetri. La velocità di progressione è cosi sempre molto bassa (in media gli speleologi più veloci superano ogni ora solo due o trecento metri di percorso sub-orizzontale) e perciò le permanenze tendono in media ad essere piuttosto lunghe, da dieci a venti ore per volta. Naturalmente esistono eccezioni: ci sono sia le escursioni di cinque o dieci ore in grotte facili, sia le massacranti discese di trenta ore senza bivacco (o di molte decine con bivacchi intermedi) in grotte molto difficili.

Come andate atrezzati?

Abbiamo sempre un casco sul quale fissiamo l'impianto di luce, in genere ad acetilene con in più una luce elettrica per situazioni di emergenza. Il resto dell'attrezzatura individuale dipende dal tipo di grotta in cui si entra, ma le grotte che presentano tratti verticali sono la quasi totalità e perciò in genere indossiamo anche imbraghi ed attrezzi da corda: sono simili a quelli che usano gli alpinisti, ma di tipo un po' diverso. Il vestiario è molto variabile, legato com'è alle condizioni ambientali della grotta, soprattutto a temperatura e acquaticità. Di costante c'è solo l'indossare un qualche tipo di vestiario termico (possono essere magliette per grotte al livello del mare, tute di pile pesanti per quelle in alta quota, tute stagne per grotte allagate) e, al di sopra di esso, a proteggerlo dagli strappi, una tuta di tessuto molto robusto e poco propenso ad assorbire acqua, in genere nylon antistrappo.

Come trovare grotta inesplorate?

Nella maggior parte dei casi iniziamo scegliendo montagne che per qualche motivo (natura delle rocce, tipo e portata delle sorgenti, forme esterne) promettono di contenere un reticolo interno che drena le acque. Da quel punto procediamo con pazienza: la prima fase è quella di chiedere agli abitanti del luogo se siano a conoscenza di ingressi di grotte. Se esistono ci facciamo accompagnare (questo stadio è spesso molto divertente perchè si vengono a conoscere le persone più strane ed interessanti). Finita questa fase ed esplorate le entrate note, continuiamo percorrendo le montagne in lungo e in largo in cerca di altre entrate o di indizi dell'esistenza di grotte: buchi che soffiano o aspirano correnti d'aria, assorbimenti d'acqua, particolari forme generali della superficie esterna. 
Ogni volta che riusciamo ad entrare, la nostra conoscenza complessiva aumenta perchè veniamo a disporre di rilievi, di informazioni sulle fratture, sulle direzioni privilegiate del mondo sotterraneo e dei flussi dell'acqua. Pian piano, tassello dopo tassello, cerchiamo di congiungere le grotte note e di ricostruire le vie di quell’enorme continente buio racchiuso nei monti calcarei. È un lavoro molto lungo, che viene tramandato, all'interno dei gruppi speleologici, anche per decenni, da una generazione all'altra di esploratori: davvero interminabile, ma a tratti è incredibilmente appassionante.

Come esplorate le grotta che trovate?

Con cautela e pazienza, occorrono entrambe. Quando riusciamo ad entrare ci inoltriamo negli spazi vuoti e bui che andiamo incontrando (spesso inseguendo le linee di circolazione dell'aria che sono sicuri indicatori dell'esistenza di prosecuzioni), portandoci appresso in appositi sacchi a forma di tubo i materiali che potranno esserci necessari: chiodi, qualche corda e i rifornimenti di cibo e luce. Quando incontriamo zone strette le superiamo pian piano; stiamo cauti anche nelle gallerie dove un sasso immobile da migliaia di anni nell'oscurità' quieta può mettersi in moto per l'inatteso passaggio di una persona. Quando il pavimento sparisce e sotto di noi si apre il nero di un pozzo per prima cosa lo sondiamo lanciandovi dei sassi, per capire grosso modo quanto è profondo; poi fissiamo dei chiodi alle pareti. Ad essi leghiamo le corde sulle quali poi scendiamo e saliamo, collegati con particolari attrezzi, curando di far precipitare tutti i sassi in bilico che minaccerebbero le salite e discese successive. Andiamo avanti cosi, pian piano, esplorando e topografando con gli strumenti da rilievo le zone percorse. Il ritmo di avanzata in esplorazione è sempre molto lento: una squadra esperta in una discesa normale (quella che chiamiamo una "punta"), cioè con una permanenza di dieci o quindici ore, finisce in genere per esplorare e topografare solo alcune centinaia di metri di gallerie, o al massimo un paio di centinaia di profondità di grotta se si tratta di una cavità a pozzi.

Esplorate anche le grotta sommerse?

Un pochino. Quella dell'esplorazione delle gallerie sommerse è un'attività complessa ed estremamente rischiosa: bisogna sempre ripercorrere a ritroso la via di andata e questo può diventare impossibile per l'insorgere di problemi tecnici, per la riduzione di visibilità nell'acqua o perchè ci si è incastrati. Nonostante i progressi tecnici fatti negli anni è rimasta probabilmente una delle attività umane più pericolose: per farla in relativa sicurezza è necessario essere sia ottimi subacquei che ottimi speleologi. Il termine utilizzato per designare le gallerie sommerse è "sifoni". Ne esistono di due tipi fondamentali: i sifoni in cui ci si inoltra contro corrente e quelli in cui si avanza con la corrente. I primi spesso iniziano dalle risorgenze, che in pratica appaiono essere un laghetto esterno dal quale trabocca l'acqua in arrivo da gallerie subacquee: si tratta di raggiungerle ed esplorarle. Gli altri sifoni, quelli in cui si scende con la corrente, si incontrano in genere all'interno delle montagne, proprio al "fondo" delle grotte: in pratica dalla parte opposta, a monte, delle risorgenze. La speleologia subacquea in genere tende ad occuparsi dei primi, meno pericolosi perchè non presentano il rischio di trascinare via chi ci nuota e meno faticosi perchè non richiedono tremendi trasporti di materiali all'interno delle grotte. Tant'è che il secondo tipo di sifoni per noi è, in genere, il fondo della cavità: la massima parte degli abissi noti si conclude in questo modo. È solo in casi particolari, molto 'mirati', che vengono affrontate queste strutture micidiali.

Come fate il disegno delle grotta che trovate?

Per riuscire a disegnare una grotta bisogna prima farne il rilievo topografico, cioè misurarne le forme e le dimensioni principali. Si opera in genere in due: uno si posiziona in quello che sarà il punto iniziale del rilievo mentre l'altro si allontana sino al limite della visibilità del primo (in genere si tratta di qualche metro, ma a volte, ahinoi, sono solo pochi decimetri...), li si ferma e si gira verso l'altro. A quel punto si è tracciata una linea ideale nello spazio fra gli occhi dei due topografi: basta misurarne le coordinate. Il primo misura quindi la lunghezza (distanza dal compagno) con una cordella metrica o con un telemetro, l'inclinazione sull'orizzontale con un clinometro e la direzione con una bussola (che sottoterra funziona benissimo: le rocce sono "trasparenti" al campo magnetico terrestre). Scrive su un taccuino questi dati e altre note fisiche, fa uno schizzo di come è fatto quel trattino di grotta e poi si sposta nell'esatta posizione del secondo che a sua volta si allontana sino al limite della visibilità del primo: e si ripete, si ripete, si ripete... 
È un lavoro lunghissimo, freddo e noioso, ma nell'insieme uno dei più soddisfacenti perchè poi a casa potremo stendere un disegno accurato di dove e come ci siamo inoltrati all'interno del monte.
Per rendere la forma delle tridimensionali grotte sul foglio in genere scegliamo di fare tre mappe differenti. Una è la pianta ed è la rappresentazione della grotta proiettata sul piano orizzontale: in pratica è quello che vedrebbe un osservatore da alta quota se la montagna fosse trasparente e la grotta no. L'altra è la sezione verticale: tutta la grotta viene schiacciata su un piano verticale, proprio come se fosse un modellino tridimensionale di carta che desideriamo piegare. In questa rappresentazione si perdono completamente le relazioni fra le varie parti della grotta ma si ha un'idea sintetica del suo andamento. Infine c'è l'insieme delle numerose e piccole sezioni trasversali nelle quali vengono rappresentate le forme delle gallerie in certi punti significativi: infatti, come abbiamo spiegato altrove, dalla forma delle gallerie se ne può ricostruire la genesi.

Biblioteca Geo CAI - Alcuni titoli